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A CURA DI GIULIA D'ANDREA

Durf Fiscale: croce o delizia?

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A CURA DI
GIULIA D'ANDREA
Approvato con il Provvedimento prot.54730 del 06/02/2020, il modello di certificazione fiscale, ovvero il “Certificato di sussistenza dei requisiti previsti dall’art.17-bis, comma 5, D.Lgs.241/1997”,in breve il “Durf fiscale”,consente al contribuente che ne fosse in possesso di disapplicare i gravosi obblighi documentali e divieti imposti dalla procedura ordinaria, ossia rappresenta una facilitazione, a dire il vero anch’essa con alcune insidie che vedremo più avanti, introdotta nell’ambito della disciplina in materia di appalti così come rinnovata dall’art.4 del D.L.124/2019 mediante l’introduzione dell’art.17-bis, co.5, D. Lgs.241/1997.Da non confondere, in quanto non produce gli stessi effetti fiscali liberatori, con il Certificato previsto dall’art.14 del D. Lgs.472/1997, rilasciato a favore del cessionario nell’ambito di cessioni d’azienda In sostanza il Durf Fiscale, che va richiesto all’Agenzia delle Entrate compilando un modello all’uopo predisposto e disponibile sul sito internet dell’Agenzia delleEntrate www.agenziaentrate.gov.it, attesta il rispetto dei requisiti previsti dal nuovo art.17-bis, co.5, D.Lgs.241/1997 in capo al soggetto appaltatore o subappaltatore o affidatario richiedente. L’articolo 17-bis, comma 5, del decreto legislativo n.241 del 1997 stabilisce che:” Gli obblighi previsti dal presente articolo non trovano applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici di cui al comma 1 comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza, nell’ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista dal comma 2, dei seguenti requisiti:
a)  Risultino in attività da almeno tre anni, siano in regola con gli obblighi dichiarativi e abbiano eseguito, nel corso dei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, complessivi versamenti registrati nel conto fiscal e per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
b)  Non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000,00, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza”
Il certificato viene rilasciato quindi dall’Agenzia delle Entrate a seguito di controlli relativi ai requisiti richiesti dalla norma, il tutto verificato con riferimento all’ultimo giorno del mese oggetto della richiesta.
Viene rilasciato ai richiedenti a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese e ha validità 4 mesi dalla data del rilascio.

Particolare attenzione deve essere rivolta al requisito di cui alla lettera a) della suindicata norma:“versamenti in conto fiscale non inferiori al 10% dei ricavi e compensi”, i versamenti vengono commisurati al dato risultante dalle ultime tre dichiarazioni dei redditi (rigo ….), l’Ufficio verifica quindi che il totale dei versamenti effettuati nel conto fiscale non sia inferiore al 10% della somma complessiva dei ricavi realizzati e dichiarati.

In teoria tutto chiaro, nella pratica però si sono subito presentati i primi problemi applicativi di interpretazione della norma, in parte risolti dalla stessa Agenzia delle Entrate con documenti di prassi a tale scopo emessi.

SPLIT PAYMENT – REVERSE CHARGE – TRASPARENZA FISCALE E LIQUIDAZIONE IVA DI GRUPPO
Come comportarsi nei confronti di quei contribuenti che realizzano ricavi ricadenti nelle fattispecie dello Split payment e/o dell’inversione contabile, che optano per la cosiddetta “trasparenza fiscale” o che effettuano la liquidazione IVA di gruppo?

Risulta subito evidente come per questi ultimi sia difficile rispettare la cosiddetta “soglia del10%”,avente una parte o tutto il fatturato ricadente sotto l’una o l’atra speciale casistica.Interviene a dipanare ogni dubbio l’Agenzia delle Entrate che,con la Risoluzione n.53 del 22settembre 2020, avente ad oggetto la “Determinazione della soglia del 10 per cento di cui all’articolo 17-bis, comma 5 lett.a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241-IVA-Split payment e reverse charge –Trasparenza fiscale e liquidazione Iva di gruppo” stabilisce che, in riferimento al requisito di cui al menzionato art.17 bis comma 5 lett a), debba essere considerata anche l’IVA relativa alle operazioni rese dalle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici alla PA e ai soggetti ad essa equiparati, obbligati allo split payment. Alle medesime conclusioni si perviene con riferimento alle operazioni soggette al regime dell’inversione contabile di cui all’art.17, sesto comma, del DPR n.633/1972, “ovvero anche l’IVA assolta dal committente in regime di inversione contabile si ritiene che possa essere ricompresa nei versamenti per il calcolo della soglia del 10 per cento”.Si stabilisce inoltre nel citato Documento che si possa considerare nel calcolo della soglia del 10%, anche l’imposta teorica corrispondente al reddito della società, imputato per trasparenza ai soci, oltre che l’imposta sul valore aggiunto teorica risultante dalla liquidazione periodica della società controllata, ma assolta dall’ente controllante, nel caso di opzione per la liquidazione di iva di gruppo, in entrambi i casi si ritiene quindi si possano includere tra i versamenti anche le suddette “imposte teoriche”. Resta invece da chiarire, a parere della scrivente, un’altra fattispecie meritevole di approfondimento:cosa succede quando il contribuente richiedente il certificato, effettua forniture di beni e/o servizi nei confronti di esportatori abituali? Questi ultimi,si rammenta,qualora intendano acquistare o importare senza applicazione dell’IVA, trasmettono telematicamente all’Agenzia delle Entrate la “Dichiarazione di intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto” in seguito denominata “Dichiarazione di intento”. Tale dichiarazione è presentata all’Agenzia delle Entrate in via telematica, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati (commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del Dpr 322/1998), ciò comporta per chi ne è destinatario, la conseguenza di dover emettere fatture attive non imponibili IVA ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR n.633/72.

Sono certamente necessari chiarimenti in ordine alla determinazione, anche con riferimento a detta fattispecie, “dei complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi” (soglia del 10 per cento),di cui all’art.17-bis, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241, inserito dall’articolo 4, comma 1, del decreto legge 26 ottobre 2019, n.124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre, n.157.

Nello specifico, ai fini del predetto calcolo, le imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici che effettuano operazioni attive ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72, ovvero che siano destinatarie di regolari “Dichiarazioni di intento”,stante alla lettera della norma, non possono sottrarre dal totale dei ricavi conseguiti e risultanti dalle dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio presi a base di calcolo per la “soglia del 10%” i ricavi relativi ad operazioni emesse ai sensi del predetto art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72, ovvero ricavi realizzati relativamente alle fatture emesse nei confronti di committenti che abbiano inoltrato la “Dichiarazione di intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto”. Ciò naturalmente crea non pochi problemi: laddove, infatti, la normativa fiscale vigente preveda, al verificarsi di determinate condizioni sopra specificate, l’emissione di fatture non imponibili ai fini IVA, è chiaro che conteggiare tali ricavi nella base di calcolo della “soglia del 10%” risulta fortemente penalizzante per i soggetti che, intrattenendo rapporti commerciali con gli esportatori abituali, sono destinatari delle menzionate “Dichiarazioni di intento”.

Apertis verbis i soggetti economici che, a seguito della ricezione delle Dichiarazioni di intento, devono emettere fatture non imponibili IVA ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR n.633/72, vengono ad essere ingiustificatamente svantaggiati rispetto alla possibilità di risultare “adempienti” relativamente alla sussistenza dei requisiti previsti dall’art.17-bis, comma 5 lett. a), del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n.241, pur essendo in regola con tutti i versamenti prescritti dalla normativa fiscale in essere. In sostanza la fattispecie fiscale innanzi relazionata comporta la conseguenza, per i soggetti riceventi Dichiarazioni di intento, di avere uno squilibrio tra i ricavi dichiarati e l’ammontare delle imposte versateproprio per la non imponibilità ai fini IVA dei detti ricavi.In conclusione,aparere di chi scrive,dall’ammontare dei ricavi presi a base di calcolo per la” sogliadel 10 percento”, dovrebbero esseresottratti tutti i ricavi conseguiti ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72.

Sarebbe auspicabile anche per tale fattispecie un chiarimento da parte dell’Agenzia delle anche perché le conseguenze di un DURF IRREGOLARE sono particolarmente gravose per il contribuente; il committente non potrà procedere al pagamento dovendo trattenere le somme dovute all’impresa finché perdura l’inadempimento, sino a concorrenza del 20% del valore complessivo della commessa, oppure, laddove sia inferiore, per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate. Naturalmente l’impresa in questione non potrà in alcun modo pretendere il pagamento e gli sarà inibita la possibilità di intraprendere azioni esecutive per farsi riconoscere le somme di sua competenza. Non solo…entro 90 giorni dal riscontrato inadempimento, la committente dovrà comunicare la circostanza all’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. Il committente che non adopera tali giusti comportamenti sarà esposto al rischio di dovere pagare la sanzione nella stessa misura di quella comminata all’impresa per l’omesso versamento delle ritenute, relativamente ai lavoratori impiegati nella commessa.In conclusione risulta essere particolarmente sentita l’esigenza di chiarezza e semplicità nella procedura del rilascio del certificato per far sì che il contribuente “virtuoso” possa entrarne in possesso nella maniera più agevole possibile!

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Durf Fiscale: croce o delizia?

Approvato con il Provvedimento prot.54730 del 06/02/2020, il modello di certificazione fiscale, ovvero il “Certificato di sussistenza dei requisiti previsti dall’art.17-bis, comma 5, D.Lgs.241/1997”,in breve il “Durf fiscale”,consente al contribuente che ne fosse in possesso di disapplicare i gravosi obblighi documentali e divieti imposti dalla procedura ordinaria, ossia rappresenta una facilitazione, a dire il vero anch’essa con alcune insidie che vedremo più avanti, introdotta nell’ambito della disciplina in materia di appalti così come rinnovata dall’art.4 del D.L.124/2019 mediante l’introduzione dell’art.17-bis, co.5, D. Lgs.241/1997.Da non confondere, in quanto non produce gli stessi effetti fiscali liberatori, con il Certificato previsto dall’art.14 del D. Lgs.472/1997, rilasciato a favore del cessionario nell’ambito di cessioni d’azienda In sostanza il Durf Fiscale, che va richiesto all’Agenzia delle Entrate compilando un modello all’uopo predisposto e disponibile sul sito internet dell’Agenzia delleEntrate www.agenziaentrate.gov.it, attesta il rispetto dei requisiti previsti dal nuovo art.17-bis, co.5, D.Lgs.241/1997 in capo al soggetto appaltatore o subappaltatore o affidatario richiedente. L’articolo 17-bis, comma 5, del decreto legislativo n.241 del 1997 stabilisce che:” Gli obblighi previsti dal presente articolo non trovano applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici di cui al comma 1 comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza, nell’ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista dal comma 2, dei seguenti requisiti:
a)  Risultino in attività da almeno tre anni, siano in regola con gli obblighi dichiarativi e abbiano eseguito, nel corso dei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, complessivi versamenti registrati nel conto fiscal e per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
b)  Non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000,00, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza”
Il certificato viene rilasciato quindi dall’Agenzia delle Entrate a seguito di controlli relativi ai requisiti richiesti dalla norma, il tutto verificato con riferimento all’ultimo giorno del mese oggetto della richiesta.
Viene rilasciato ai richiedenti a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese e ha validità 4 mesi dalla data del rilascio.

Particolare attenzione deve essere rivolta al requisito di cui alla lettera a) della suindicata norma:“versamenti in conto fiscale non inferiori al 10% dei ricavi e compensi”, i versamenti vengono commisurati al dato risultante dalle ultime tre dichiarazioni dei redditi (rigo ….), l’Ufficio verifica quindi che il totale dei versamenti effettuati nel conto fiscale non sia inferiore al 10% della somma complessiva dei ricavi realizzati e dichiarati.

In teoria tutto chiaro, nella pratica però si sono subito presentati i primi problemi applicativi di interpretazione della norma, in parte risolti dalla stessa Agenzia delle Entrate con documenti di prassi a tale scopo emessi.

SPLIT PAYMENT – REVERSE CHARGE – TRASPARENZA FISCALE E LIQUIDAZIONE IVA DI GRUPPO
Come comportarsi nei confronti di quei contribuenti che realizzano ricavi ricadenti nelle fattispecie dello Split payment e/o dell’inversione contabile, che optano per la cosiddetta “trasparenza fiscale” o che effettuano la liquidazione IVA di gruppo?

Risulta subito evidente come per questi ultimi sia difficile rispettare la cosiddetta “soglia del10%”,avente una parte o tutto il fatturato ricadente sotto l’una o l’atra speciale casistica.Interviene a dipanare ogni dubbio l’Agenzia delle Entrate che,con la Risoluzione n.53 del 22settembre 2020, avente ad oggetto la “Determinazione della soglia del 10 per cento di cui all’articolo 17-bis, comma 5 lett.a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241-IVA-Split payment e reverse charge –Trasparenza fiscale e liquidazione Iva di gruppo” stabilisce che, in riferimento al requisito di cui al menzionato art.17 bis comma 5 lett a), debba essere considerata anche l’IVA relativa alle operazioni rese dalle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici alla PA e ai soggetti ad essa equiparati, obbligati allo split payment. Alle medesime conclusioni si perviene con riferimento alle operazioni soggette al regime dell’inversione contabile di cui all’art.17, sesto comma, del DPR n.633/1972, “ovvero anche l’IVA assolta dal committente in regime di inversione contabile si ritiene che possa essere ricompresa nei versamenti per il calcolo della soglia del 10 per cento”.Si stabilisce inoltre nel citato Documento che si possa considerare nel calcolo della soglia del 10%, anche l’imposta teorica corrispondente al reddito della società, imputato per trasparenza ai soci, oltre che l’imposta sul valore aggiunto teorica risultante dalla liquidazione periodica della società controllata, ma assolta dall’ente controllante, nel caso di opzione per la liquidazione di iva di gruppo, in entrambi i casi si ritiene quindi si possano includere tra i versamenti anche le suddette “imposte teoriche”. Resta invece da chiarire, a parere della scrivente, un’altra fattispecie meritevole di approfondimento:cosa succede quando il contribuente richiedente il certificato, effettua forniture di beni e/o servizi nei confronti di esportatori abituali? Questi ultimi,si rammenta,qualora intendano acquistare o importare senza applicazione dell’IVA, trasmettono telematicamente all’Agenzia delle Entrate la “Dichiarazione di intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto” in seguito denominata “Dichiarazione di intento”. Tale dichiarazione è presentata all’Agenzia delle Entrate in via telematica, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati (commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del Dpr 322/1998), ciò comporta per chi ne è destinatario, la conseguenza di dover emettere fatture attive non imponibili IVA ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR n.633/72.

Sono certamente necessari chiarimenti in ordine alla determinazione, anche con riferimento a detta fattispecie, “dei complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi” (soglia del 10 per cento),di cui all’art.17-bis, comma 5, lettera a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241, inserito dall’articolo 4, comma 1, del decreto legge 26 ottobre 2019, n.124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre, n.157.

Nello specifico, ai fini del predetto calcolo, le imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici che effettuano operazioni attive ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72, ovvero che siano destinatarie di regolari “Dichiarazioni di intento”,stante alla lettera della norma, non possono sottrarre dal totale dei ricavi conseguiti e risultanti dalle dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio presi a base di calcolo per la “soglia del 10%” i ricavi relativi ad operazioni emesse ai sensi del predetto art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72, ovvero ricavi realizzati relativamente alle fatture emesse nei confronti di committenti che abbiano inoltrato la “Dichiarazione di intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto”. Ciò naturalmente crea non pochi problemi: laddove, infatti, la normativa fiscale vigente preveda, al verificarsi di determinate condizioni sopra specificate, l’emissione di fatture non imponibili ai fini IVA, è chiaro che conteggiare tali ricavi nella base di calcolo della “soglia del 10%” risulta fortemente penalizzante per i soggetti che, intrattenendo rapporti commerciali con gli esportatori abituali, sono destinatari delle menzionate “Dichiarazioni di intento”.

Apertis verbis i soggetti economici che, a seguito della ricezione delle Dichiarazioni di intento, devono emettere fatture non imponibili IVA ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR n.633/72, vengono ad essere ingiustificatamente svantaggiati rispetto alla possibilità di risultare “adempienti” relativamente alla sussistenza dei requisiti previsti dall’art.17-bis, comma 5 lett. a), del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n.241, pur essendo in regola con tutti i versamenti prescritti dalla normativa fiscale in essere. In sostanza la fattispecie fiscale innanzi relazionata comporta la conseguenza, per i soggetti riceventi Dichiarazioni di intento, di avere uno squilibrio tra i ricavi dichiarati e l’ammontare delle imposte versateproprio per la non imponibilità ai fini IVA dei detti ricavi.In conclusione,aparere di chi scrive,dall’ammontare dei ricavi presi a base di calcolo per la” sogliadel 10 percento”, dovrebbero esseresottratti tutti i ricavi conseguiti ai sensi dell’art.8, co.1, lett.a) del DPR N.633/72.

Sarebbe auspicabile anche per tale fattispecie un chiarimento da parte dell’Agenzia delle anche perché le conseguenze di un DURF IRREGOLARE sono particolarmente gravose per il contribuente; il committente non potrà procedere al pagamento dovendo trattenere le somme dovute all’impresa finché perdura l’inadempimento, sino a concorrenza del 20% del valore complessivo della commessa, oppure, laddove sia inferiore, per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate. Naturalmente l’impresa in questione non potrà in alcun modo pretendere il pagamento e gli sarà inibita la possibilità di intraprendere azioni esecutive per farsi riconoscere le somme di sua competenza. Non solo…entro 90 giorni dal riscontrato inadempimento, la committente dovrà comunicare la circostanza all’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. Il committente che non adopera tali giusti comportamenti sarà esposto al rischio di dovere pagare la sanzione nella stessa misura di quella comminata all’impresa per l’omesso versamento delle ritenute, relativamente ai lavoratori impiegati nella commessa.In conclusione risulta essere particolarmente sentita l’esigenza di chiarezza e semplicità nella procedura del rilascio del certificato per far sì che il contribuente “virtuoso” possa entrarne in possesso nella maniera più agevole possibile!