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A CURA DI GIULIA D'ANDREA

Accertamento basato su atto non conosciuto al contribuente: obbligo di motivazione e onere della prova.

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A CURA DI
GIULIA D'ANDREA

Fatti di causa:

Il Collegio Campano di primo grado, Sezione VI, nella pronuncia in commento, la n.2172, affronta la dibattuta tematica della motivazione per relationem degli atti impositivi. Nel dirimere la controversia i Decidenti non hanno dubbi, dopo aver verificato che “agli atti del procedimento non risulta allegato il pvc su cui è fondata la pretesa tributaria”, trovandosi di fronte ad un avviso di accertamento fondato su un pvc relativo ad un’indagine finanziaria effettuata nei confronti di un terzo, i cui riverberi si estendono alla sfera giuridica del contribuente attinto dalla pretesa di cui è controversia, valutate le motivazioni addotte dal contribuente sul punto e sposando il prevalente orientamento della Suprema Corte, accolgono le ragioni della parte privata annullando l’atto impugnato. In definitiva si ravvisa “l’obbligo dell’Amministrazione di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione” su cui si basa la pretesa impositiva. La ratio decidendi verte sulla mancata possibilità da parte del contribuente di poter approntare una giusta ed efficace difesa, non conoscendo a fondo le motivazioni dell’Ufficio, ma non solo…, l’aspetto più importante è da ricercare in riferimento alla necessità di una giusta e imparziale pronuncia da parte dell’Organo giudicante, che, laddove non abbia a disposizione tutti i documenti fondanti la pretesa, potrebbe non essere messo nella condizione, per motivazioni oggettive, di esprimersi nella giusta maniera.

La motivazione degli atti impositivi aspetti generali:

Nello sviscerare gli argomenti posti alla base della decisione dei Giudici di prime cure che qui si commenta non si può non porre la giusta attenzione su quella che è una parte essenziale dell’atto impositivo, ovvero la sua motivazione. Essa consiste nell’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste alla base della decisione dell’Ufficio ad emettere l’atto impositivo. Una completa e chiara motivazione fa sì che il contribuente possa valutare l’entità della pretesa, le sue ragioni e la sua fondatezza, onde decidere se prestare acquiescenza all’atto oppure impugnarlo, in questo secondo caso un’adeguata motivazione gli permette, altresì, di formulare compiutamente le ragioni su cui incentrare la difesa. A ben vedere dunque la motivazione di un atto ha una duplice valenza: – innanzitutto, garantisce il diritto di difesa della parte privata, in ossequio al principio costituzionalmente garantito all’art.24, difatti in caso di una sua assenza o incompiutezza sarebbe irrimediabilmente compromessa la possibilità di difendersi in maniera efficace avverso l’atto impositivo, non essendo chiari i confini dell’azione impositiva, sarebbero altrettanto oscuri ed imprecisi i motivi da addurre a sostegno della propria tesi difensiva; – in secondo luogo, aspetto che costituisce quasi un corollario del primo, tale obbligo è da intendersi quale un giusto bilanciamento della possibilità unilaterale e autoritativa, in capo alla Pubblica Amministrazione, di poter emettere atti impositivi destinati a diventare definitivi se non tempestivamente impugnati. La motivazione, per essere valida, deve evidenziare l’iter logico giuridico su cui è fondato l’atto impositivo, indicare le norme violate, l’entità della violazione e il fatto oggetto di contestazione. Il vizio di motivazione di un atto, tuttavia, non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepito dal contribuente in sede di ricorso di primo grado. In tale contesto la funzione di garanzia assolta dalla motivazione di un atto può essere altresì assolta non ex se ma per relationem, con tale espressione si individua il caso in cui nel motivare un atto si faccia riferimento ad un altro atto precedente (generalmente il pvc) nel quale sono contenute le ragioni della pretesa.

Contesto normativo di riferimento:

La questione, oggetto negli anni di numerose pronunce della Suprema Corte, sembrerebbe di piana interpretazione, soprattutto se valutata alla luce della normativa dettata sul punto dallo “Statuto del Contribuente” all’art.7. Come sempre, però, le diverse sfumature in cui si atteggia la realtà processuale comporta la necessità di un approfondimento, difatti le problematiche che sono scaturite sul tema sono senz’altro note agli operatori del settore. L’art. 3 della Legge n. 241/1990 rubricato “Motivazione del provvedimento” così recita: “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato…” la norma esplicita, dunque, l’obbligo di motivare l’atto amministrativo emesso dalla Pubblica Amministrazione, con ciò intendendo l’obbligo di rendere note con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto che fungono da substrato dell’atto e che lo rendono facilmente leggibile. Nel processo tributario si ripropone l’Obbligo di motivazione a mente dell’art.7 della Legge.n.212/2000, meglio conosciuto come lo “Statuto del contribuente”, nel quale leggiamo: “Gli atti dell’Amministrazione Finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della L. 7 agosto 1990, n.241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che richiama”. Detta norma, dunque, seppure si inserisca nel solco normativo già delineato dal mentovato art.3, ne delimita ed amplia la portata, introducendo il concetto della “allegazione”, difatti non lascia spazio a dubbi la lettera della norma, prevedendo la necessaria allegazione dell’atto presupposto richiamato nell’atto impositivo, il tutto uniformato ad esigenze di chiarezza e trasparenza della Pubblica Amministrazione. In via generale ogni volta che in un atto si fa riferimento ad un altro atto quest’ultimo deve essere allegato, precipuamente individuato ovvero reso disponibile. In tema di atti emessi dall’Amministrazione Finanziaria, gli Avvisi di Accertamento, si fa riferimento all’art.42 del DPR 600/1973 secondo cui: “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. È un passo indietro rispetto a quanto statuito nell’art.7 della Legge n.212/2000? Senz’altro ne rappresenta una deroga se non proprio un evidente contrasto, alleggerisce certamente l’obbligo motivazionale dell’Amministrazione finanziaria, e comporta il dover, in maniera precisa, definire la corretta interpretazione dell’espressione “contenuto essenziale”; a tal proposito, secondo costante giurisprudenza, l’Avviso di accertamento, in tutti i casi in cui non riporti in allegato l’atto menzionato e fondante la pretesa impositiva, deve necessariamente contenere richiami puntuali all’atto originale, riproduzioni corrette e puntuali, ovvero il suo contenuto deve essere senza dubbio trascritto nella parte motiva dell’atto contestato, in ciò ravvisandosi il rispetto della previsione normativa del “contenuto essenziale”. A questo punto, venendo al cuore della pronuncia in commento, occorre fare necessariamente un distinguo: 1 .l’atto richiamato per relationem è conosciuto o conoscibile dal contribuente; 2. l’atto richiamato per relationem è del tutto sconosciuto né conoscibile dal contribuente in quanto emesso nei confronti di un terzo. È chiaro che le due ipotesi hanno conseguenze diverse rispetto all’obbligo motivazionale dell’Amministrazione finanziaria: nel primo caso , quando l’avviso di accertamento nella sua parte motiva rimanda ad un atto presupposto, la norma (1) deve essere interpretata non in senso meramente formale ma in senso sostanziale, pertanto, se l’atto richiamato è conosciuto dal contribuente (2), ovvero c’è coincidenza tra il destinatario dell’atto impositivo e il destinatario dell’atto richiamato in motivazione, quest’ultimo potrà anche eventualmente non essere allegato, ma se ne potranno riprodurre meramente i tratti salienti, la motivazione in tale caso può dirsi perfetta in quanto il contribuente è già messo nella condizione di conoscere l’an e il quantum debeatur della pretesa impositiva, il principio è ben scolpito in una recente Ordinanza della Cassazione (3); nel secondo caso invece, per tutto quanto sopra detto inerentemente la funzione della motivazione di un atto, la mancata allegazione rappresenterà un grave deficit motivazionale tanto da pregiudicare la validità dell’atto medesimo (4). In sostanza, in tale ipotesi, la mancata allegazione comporterà la caducazione dell’atto impositivo che nella sua motivazione rimandi ad un pvc redatto a carico di un terzo, quindi giammai conosciuto né conoscibile dal contribuente. (5) Nel caso de quo, il Collegio di Prime Cure, sposando tale interpretazione, accoglie le ragioni del contribuente, il quale effettivamente non poteva conoscere i documenti posti a fondamento della pretesa, dato che l’impianto motivazionale dell’atto impugnato si basava su un’indagine esperita nei confronti di un terzo.

Differenze tra motivazione e prova:

portata ambivalente del pvc. Stante quanto sin qui esposto, occorre, anche ai fini della comprensione della parte motiva della pronuncia in commento, distinguere la motivazione di un atto dall’onere della prova, i due concetti spesso erroneamente si intersecano e confondono, ma ognuno dei due possiede la sua specifica soggettività: la motivazione attiene alla validità formale e sostanziale dell’Avviso di accertamento e deve essere perfetta sin dalla sua originaria formulazione, la prova invece è la “spiegazione” della motivazione e attiene alla fase processuale, “tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo” (3). La motivazione deve intendersi nel rapporto tra contribuente e Amministrazione e come tale viene valutata dal Giudice nel caso in cui il contribuente dovesse eccepire la sua validità, la prova invece attiene al rapporto con il Giudice che per formare il proprio convincimento ne ha assoluto bisogno. L’atto può validamente essere fondato sugli elementi del pvc precedentemente reso noto al contribuente quindi in tal caso perfettamente motivato, ma ciò non è comunque sufficiente a dare la prova dei fatti che sono alla base della pretesa tributaria, tutti e due sono essenziali per la validità della pretesa stessa. (6) In altre parole, può essere irrilevante il fatto che il pvc è stato precedentemente notificato al contribuente, dal momento che, a seguito dell’impugnazione dell’atto impositivo, siamo sul piano strettamente processuale, in cui è anche e soprattutto il Giudice che deve essere messo nelle condizioni di conoscere il fondamento sostanziale della pretesa tributaria. Il pvc, dunque, è un documento bicefalo, può assumere, infatti, sia la valenza di motivazione che di prova: essenziale è comprendere se vada necessariamente trasfuso nell’avviso di accertamento (quale parte integrante della motivazione) o solo successivamente esibito in giudizio (quale assolvimento dell’onere della prova). Secondo recente Giurisprudenza (2), solo in caso di PVC precedentemente noto al contribuente anche se non allegato la motivazione si può dire comunque compiuta, in tal caso sussiste solo l’onere di provarlo in giudizio da parte dell’Ufficio.

Motivazione per relationem e onere della prova, dove inizia e dove finisce il potere del Giudice? “Iudex iuxta alligata et probata iudicare debet”:

La pronuncia in commento fonda il proprio impianto motivazionale sulla mancata produzione in giudizio del pvc richiamato nell’atto impugnato, il Collegio ritiene, quindi, non assolto l’onere della prova richiamando all’uopo l’art.2697 del codice civile: “allorquando l’Amministrazione finanziaria avanza una pretesa creditoria nei confronti del contribuente, la stessa rimane onerata alla esibizione della prova dei fatti costitutivi della pretesa medesima”. La Commissione Tributaria Provinciale, a ben vedere, annulla l’atto, accogliendo le ragioni del contribuente, non perché carente (o almeno non solo) dal punto di vista strettamente motivazionale ma soprattutto perché riscontra un mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio, emette, pertanto, la statuizione in coerenza con l’ampio panorama giurisprudenziale caratterizzato da una sostanziale uniformità delle sentenze rese in tali termini. A questo punto val la pena di esaminare la posizione del Giudice tributario in liti con le caratteristiche sin qui esposte: secondo consolidata giurisprudenza egli “non può travalicare i propri poteri “ordinando” di depositarlo (l’atto su cui si fonda l’accertamento), né tantomeno può sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori” (7).

La motivazione postuma e l’onere della prova:

Nel caso approdato dinanzi la Sesta Sezione della Ctp di Salerno, il corto circuito è rappresentato dalla mancata allegazione dei documenti posti alla base della pretesa impositiva, ma l’atto impugnato ha un deficit motivazionale o da questo punto di vista è perfettamente formato? Ovvero, il motivo di illegittimità è da ricercarsi nel mancato assolvimento dell’onere della prova o nella mancanza di motivazione dell’atto impugnato? L’amministrazione finanziaria avrebbe potuto, depositando in giudizio il pvc, convincere i Giudici della bontà dell’avviso di accertamento? In ossequio a costante giurisprudenza, anche laddove (e comunque neanche ciò è avvenuto), l’Amministrazione finanziaria avesse prodotto in giudizio il pvc in argomento, i Giudici avrebbero correttamente comunque dovuto annullare l’atto impositivo in quanto carente ab origine di una valida e compiuta motivazione, si esclude, infatti, la possibilità di integrar e la motivazione in corso di lite, in quanto essa è requisito stringente di validità originaria dell’atto tributario, in altre parole è baluardo che l‘atto non può non contenere al suo interno sin dall’inizio. Pertanto val la pena sottolineare che anche laddove la produzione del pvc fosse avvenuta nel corso del giudizio, l’avviso di accertamento sarebbe stato comunque viziato ab origine, sembrerebbe, diversamente, che il Collegio ritenga l’atto perfettamente motivato ponendo la mancata produzione del pvc solo sul piano del mancato assolvimento dell’onere della prova, oppure, in senso diametralmente opposto, prevedendo la possibilità di una motivazione postuma quasi a volerla ritenere valida quale effetto emendativo dell’atto.

Considerazioni conclusive:

Il piano normativo su cui è basata la pronuncia in commento, l’assolvimento dell’onere della prova, è stato oggetto della recente novella legislativa introdotta con l’art.6 della Legge 31 agosto 2022, n.130 che ha aggiunto il comma 5 bis all’art.7 del D.lgs. n.546/92 in vigore dal 16 settembre 2022, tuttavia, come abbiamo avuto modo di osservare relativamente all’interpretazione offerta dai Giudicanti di Prime Cure, la novella non ha fatto altro che integrare, introducendo una norma ad hoc nella legislazione tributaria , un principio già esistente già nella normativa civilistica (l’art.2697 cc), e che quindi poteva essere, come lo è stata nel caso de quo, efficacemente applicata da attenti Giudici Tributari anche prima della recente evoluzione normativa. In effetti il nuovo comma 5 bis si colloca nella disciplina del processo regolamentando la dinamica probatoria all’interno del giudizio senza modificare gli obblighi motivazionali previsti a monte nell’atto impositivo, il Legislatore ha inteso rafforzare l’obbligo dell’assolvimento dell’onere della prova della parte pubblica, sovvertendo l’opinione precedentemente formata dai Supremi Giudici secondo cui si attribuiva al contribuente, ad esempio, l’onere di provare i requisiti degli elementi di spesa. Il nuovo comma introdotto rappresenta pertanto una mano tesa verso il contribuente realizzando una maggiore tutela degli interessi privati troppe volte bistrattati. Si auspica pertanto che la nuova norma possa effettivamente rappresentare un volano verso l’equità del sistema tributario e che quest’ultimo possa essere inteso finalmente come paritario nel rapporto tra parte pubblica e parte privata.

Note:

1) Art.42 DPR 600/73

2) È il caso, ad esempio, della motivazione per relationem della Cartella esattoriale, affrontato dalla Corte di Cassazione in un recente Sentenza del 29 dicembre 2022 N.38116, in tale contesto la Suprema Corte non ha mancato di precisare che “la Cartella di pagamento allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati- attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per ulteriori accessori”, in questo caso il richiamo summenzionato soddisfa pienamente gli obblighi motivazionali. Sull’Amministrazione finanziaria grava un obbligo di motivazione rafforzato solo se la cartella di pagamento costituisce il primo atto notificato al contribuente e, quindi, atto impositivo. Sul punto già si erano già espressi gli Ermellini con l’importante Sentenza a Sezioni Unite n.11722 del 2010 nella quale si afferma il seguente principio di diritto: “Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo e unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contener e, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione. Tale motivazione può essere assolta per relationem ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia, debbono comunque esser e specificatamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali, affinché il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità: l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, non deve esser e necessariamente allegato alla cartella – secondo una interpretazione non puramente formalistica della L.27luglio 2000, N.212, art.7-, sempre che ne siano indicati nella cartella stessa i relativi estr emi di notificazione o di pubblicazione.”

3) CASSAZIONE, Sez.trib., Pres. Manzoni, Est. Triscari – Ord. n.6325 del 19 gennaio 2023, dep. il 02 marzo 2023

4) “È necessario che l’atto contenga gli elementi essenziali, comprensivo dell’allegazione dei documenti richiamati in motivazione, per renderlo idoneo a svolgere la funzione a cui è destinato”. A tale importante conclusione giungono i Supremi Giudici con l’Ordinanza n.29491/2018 pubblicata il 16/11/2018, nella quale si ritiene illegittimo per difetto di motivazione l’avviso di liquidazione per mancato pagamento dell’imposta di registro relativa ad un provvedimento giudiziario che indichi solo la data e il numero, senza allegarlo.

5) Si esprimono nella stessa direzione i Supremi Giudici nell’Ordinanza n.34142 del 21/11/2022 “l’obbligo di motivazione può essere adempiuto anche “per relationem” …, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato…”. Non mancano pronunce anche recentissime che non fanno altro che confermare tale orientamento, si veda in tal senso la Sentenza n.474 del 11 gennaio 2023, con cui il Supremo Consesso, nell’accogliere il Ricorso proposto avverso la decisione della CTR Campania, cassa la relativa Sentenza e annulla di fatto gli avvisi di accertamento rilevando:“ la violazione dell’art.3 della Legge 7 agosto 1990, n.241; dell’art.7 della Legge 27 luglio 2000, n.212; dell’art.42, comma 3, del D.P.R.N.600/1973 e dell’art.56 del D.P.R.n.633/1972, nonché dell’art.24, comma 2, Cost., in relazione all’art.360, primo comma n.3, cod. proc. Civ., avendo la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento n…., che richiamava per relationem un precedente pvc redatto in contraddittorio con il fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, senza che tale atto risultasse allegato all’atto tributario che lo richiamava; né la circostanza che i documenti contabili fossero stati consegnati al Curator e era rilevante ai fini della dimostrazione del contenuto del p.v.c. in capo al Curatore”. Limpida la posizione dei Supremi Giudici che negano finanche la conoscibilità del documento da parte del Curatore nonostante fosse stato in precedenza consegnato al fallito, nonostante quindi l’innegabile rapporto “di vicinanza” tra i due soggetti. L’insegnamento è ribadito in una recente Ordinanza della Cassazione, la n.9594 del 07/04/2023:” L’obbligo di allegazione degli atti richiede che l’atto presupposto, ancorché non trascritto, non sia conosciuto né agevolmente conoscibile con ‘ordinaria diligenza da parte del contribuente, posto che l’obbligo di allegazione-al fine del rispetto dell’obbligo di motivazione imposto all’Amministrazione Finanziaria per gli atti ai quali l’atto impositivo faccia rinvio, senza riprodurli – riguarda solo gli atti non conosciuti, né agevolmente conoscibili dal contribuente, se non attraverso una ricerca complessa…”

6) CASSAZIONE n. 29878 del 30.12.2020

7) La Cassazione nella Sentenza n.955 del 20 gennaio 2016 ribadisce la funzione integrativa e non sostitutiva di quei poteri officiosi che l’art.7 del D.lgs. 546/92 – da interpretare alla luce del principio di terzietà sancito dall’art.11 1 della Costituzione – attribuisce al giudice (vedi anche Cass. N.673 15/01/2007).

 

 

Commissione Tributaria Provinciale Salerno,

Sezione VI, 15 luglio 2019, n. 2172

Pres. Melone – Rel. Orilia

Accertamento – Motivazione per relationem – Rinvio ad un p.v.c. non prodotto in giudizio – Legittimità – Non sussiste – Difetto di motivazione e di prova della pretesa impositiva – Infondatezza dell’accertamento – Consegue

In presenza di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine emersi dai p.v.c. redatti dalla Guardia di finanza con esiti contestati dal contribuente, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione finanziaria. La mancata produzione in giudizio del processo verbale di constatazione determina l’annullamento dell’atto impugnato per l’impossibilità di verificare la fondatezza della pretesa tributaria.

Svolgimento del processo:

La sig.ra P.G., così come difesa e rappresentata in atti, propone ricorso avverso avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Salerno -, in relazione all’anno d’imposta 2014, aveva accertato a suo carico redditi di lavoro dipendente non dichiarati per € 3.658,00. La pretesa fiscale traeva origine da un p.v.c. elevato in data 26.10.2017 dalla GdF di Vallo della Lucania nei confronti della associazione “XXX” che le avrebbe corrisposto gli emolumenti appena sopra richiamati. La ricorrente, con articolate note difensive che necessariamente qui vengono riassunte, ne eccepisce la nullità per: – inesistenza giuridica della sua notifica stante la omessa redazione della relata da parte del presunto notificatore; – mancata instaurazione del dovuto contraddittorio preventivo prima della sua emissione; – difetto di motivazione stante la sua emissione per relationem senza allegazione allo stesso del p.v.c. da cui aveva tratto origine. Nel merito evidenzia tuttavia che gli emolumenti contestati attengono a rimborsi spese effettuati da parte della associazione a fronte di regolare documentazione giustificativa esibitale: circostanza, questa, di cui era ben consapevole la stessa Agenzia delle Entrate che, in ordine alle annualità d’imposta 2011 e 2012, non aveva sollevato la medesima contestazione per gli analoghi rimborsi spese effettuati a suo favore. Evidenziando da ultimo la contraddittorietà dell’operato dell’Ufficio che non aveva contestato alla associazione verificata la mancata applicazione della ritenuta dei presunti redditi di lavoro dipendente per cui è causa, conclude per l’annullamento dell’atto impugnato con vittoria delle spese di giudizio. L’Ufficio, ritualmente costituitosi, con note controdeduttive altrettanto articolate, contrasta tutto quanto ex adverso dedotto tanto in diritto quanto nel merito, evidenziando, per tale ultimo aspetto, che, in ordine alla mancata contestazione alla associazione delle ritenute da essa non operate, provvederà ad emettere un autonomo atto di accertamento. Conclude pertanto per il rigetto del ricorso con condanna di controparte al pagamento delle spese di giudizio.

Motivi della decisione

In via preliminare ed assorbente, questa Commissione rileva che agli atti del procedimento non risulta allegato il p.v.c. su cui è fondata la pretesa tributaria per cui è causa. Al riguardo giova osservare che, così come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 3978 del 15.7.2017), in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c., allorquando l’Amministrazione finanziaria avanza una pretesa creditoria nei confronti del contribuente, la stessa rimane onerata alla esibizione della prova dei fatti costitutivi della pretesa medesima. Così come d’uopo altresì rilevare che, per prevalente orientamento della medesima Suprema Corte, in presenza di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine emersi dai p.v.c. redatti dalla a Guardia di finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità dei relativi esiti, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione finanziaria che non può esimersi dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione (Cass. n. 955 del 2016; cfr. anche Cass. nn. 21509 del 2010, 1946 del 2012). Nella piena aderenza al predetto orientamento, questa Commissione, preso atto della mancata produzione in giudizio da parte dell’Ente accertatore del p.v.c. redatto dalla GdF, provvede all’annullamento dell’atto impugnato. Ed invero l’Ente accertatore, non versando in atti il predetto p.v.c., non ha posto questo Organo Giudicante in grado di verificare la fondatezza della pretesa tributaria portata dall’atto qui impugnato. In particolare non ha fornito alcuna prova concreta di contrasto a quanto osservato dalla ricorrente in ordine alla natura dei redditi ripresi a tassazione non dichiarati che, secondo la ricorrente medesima, piuttosto che a compensi da ella percepiti, attenevano a rimborsi spese ricevuti a fronte dalla propria attività di volontariato svolta in favore della società. E d’altronde non va sottaciuto che la stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 10/E del 13 marzo 2006, si era premurata di invitare i propri uffici a prestare la massima attenzione affinché gli atti, i fatti e i comportamenti assunti nel processo tributario fossero debitamente documentati. Alla luce di tutto quanto innanzi argomentato la Commissione, assorbiti gli altri motivi di gravame, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. La peculiarità della materia trattata induce alla compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno – sezione sesta – definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta dalla sig.ra P.G. accoglie il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Dott.ssa Giulia D’Andrea

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Accertamento basato su atto non conosciuto al contribuente: obbligo di motivazione e onere della prova.

Fatti di causa:

Il Collegio Campano di primo grado, Sezione VI, nella pronuncia in commento, la n.2172, affronta la dibattuta tematica della motivazione per relationem degli atti impositivi. Nel dirimere la controversia i Decidenti non hanno dubbi, dopo aver verificato che “agli atti del procedimento non risulta allegato il pvc su cui è fondata la pretesa tributaria”, trovandosi di fronte ad un avviso di accertamento fondato su un pvc relativo ad un’indagine finanziaria effettuata nei confronti di un terzo, i cui riverberi si estendono alla sfera giuridica del contribuente attinto dalla pretesa di cui è controversia, valutate le motivazioni addotte dal contribuente sul punto e sposando il prevalente orientamento della Suprema Corte, accolgono le ragioni della parte privata annullando l’atto impugnato. In definitiva si ravvisa “l’obbligo dell’Amministrazione di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione” su cui si basa la pretesa impositiva. La ratio decidendi verte sulla mancata possibilità da parte del contribuente di poter approntare una giusta ed efficace difesa, non conoscendo a fondo le motivazioni dell’Ufficio, ma non solo…, l’aspetto più importante è da ricercare in riferimento alla necessità di una giusta e imparziale pronuncia da parte dell’Organo giudicante, che, laddove non abbia a disposizione tutti i documenti fondanti la pretesa, potrebbe non essere messo nella condizione, per motivazioni oggettive, di esprimersi nella giusta maniera.

La motivazione degli atti impositivi aspetti generali:

Nello sviscerare gli argomenti posti alla base della decisione dei Giudici di prime cure che qui si commenta non si può non porre la giusta attenzione su quella che è una parte essenziale dell’atto impositivo, ovvero la sua motivazione. Essa consiste nell’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste alla base della decisione dell’Ufficio ad emettere l’atto impositivo. Una completa e chiara motivazione fa sì che il contribuente possa valutare l’entità della pretesa, le sue ragioni e la sua fondatezza, onde decidere se prestare acquiescenza all’atto oppure impugnarlo, in questo secondo caso un’adeguata motivazione gli permette, altresì, di formulare compiutamente le ragioni su cui incentrare la difesa. A ben vedere dunque la motivazione di un atto ha una duplice valenza: – innanzitutto, garantisce il diritto di difesa della parte privata, in ossequio al principio costituzionalmente garantito all’art.24, difatti in caso di una sua assenza o incompiutezza sarebbe irrimediabilmente compromessa la possibilità di difendersi in maniera efficace avverso l’atto impositivo, non essendo chiari i confini dell’azione impositiva, sarebbero altrettanto oscuri ed imprecisi i motivi da addurre a sostegno della propria tesi difensiva; – in secondo luogo, aspetto che costituisce quasi un corollario del primo, tale obbligo è da intendersi quale un giusto bilanciamento della possibilità unilaterale e autoritativa, in capo alla Pubblica Amministrazione, di poter emettere atti impositivi destinati a diventare definitivi se non tempestivamente impugnati. La motivazione, per essere valida, deve evidenziare l’iter logico giuridico su cui è fondato l’atto impositivo, indicare le norme violate, l’entità della violazione e il fatto oggetto di contestazione. Il vizio di motivazione di un atto, tuttavia, non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepito dal contribuente in sede di ricorso di primo grado. In tale contesto la funzione di garanzia assolta dalla motivazione di un atto può essere altresì assolta non ex se ma per relationem, con tale espressione si individua il caso in cui nel motivare un atto si faccia riferimento ad un altro atto precedente (generalmente il pvc) nel quale sono contenute le ragioni della pretesa.

Contesto normativo di riferimento:

La questione, oggetto negli anni di numerose pronunce della Suprema Corte, sembrerebbe di piana interpretazione, soprattutto se valutata alla luce della normativa dettata sul punto dallo “Statuto del Contribuente” all’art.7. Come sempre, però, le diverse sfumature in cui si atteggia la realtà processuale comporta la necessità di un approfondimento, difatti le problematiche che sono scaturite sul tema sono senz’altro note agli operatori del settore. L’art. 3 della Legge n. 241/1990 rubricato “Motivazione del provvedimento” così recita: “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato…” la norma esplicita, dunque, l’obbligo di motivare l’atto amministrativo emesso dalla Pubblica Amministrazione, con ciò intendendo l’obbligo di rendere note con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto che fungono da substrato dell’atto e che lo rendono facilmente leggibile. Nel processo tributario si ripropone l’Obbligo di motivazione a mente dell’art.7 della Legge.n.212/2000, meglio conosciuto come lo “Statuto del contribuente”, nel quale leggiamo: “Gli atti dell’Amministrazione Finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della L. 7 agosto 1990, n.241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che richiama”. Detta norma, dunque, seppure si inserisca nel solco normativo già delineato dal mentovato art.3, ne delimita ed amplia la portata, introducendo il concetto della “allegazione”, difatti non lascia spazio a dubbi la lettera della norma, prevedendo la necessaria allegazione dell’atto presupposto richiamato nell’atto impositivo, il tutto uniformato ad esigenze di chiarezza e trasparenza della Pubblica Amministrazione. In via generale ogni volta che in un atto si fa riferimento ad un altro atto quest’ultimo deve essere allegato, precipuamente individuato ovvero reso disponibile. In tema di atti emessi dall’Amministrazione Finanziaria, gli Avvisi di Accertamento, si fa riferimento all’art.42 del DPR 600/1973 secondo cui: “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. È un passo indietro rispetto a quanto statuito nell’art.7 della Legge n.212/2000? Senz’altro ne rappresenta una deroga se non proprio un evidente contrasto, alleggerisce certamente l’obbligo motivazionale dell’Amministrazione finanziaria, e comporta il dover, in maniera precisa, definire la corretta interpretazione dell’espressione “contenuto essenziale”; a tal proposito, secondo costante giurisprudenza, l’Avviso di accertamento, in tutti i casi in cui non riporti in allegato l’atto menzionato e fondante la pretesa impositiva, deve necessariamente contenere richiami puntuali all’atto originale, riproduzioni corrette e puntuali, ovvero il suo contenuto deve essere senza dubbio trascritto nella parte motiva dell’atto contestato, in ciò ravvisandosi il rispetto della previsione normativa del “contenuto essenziale”. A questo punto, venendo al cuore della pronuncia in commento, occorre fare necessariamente un distinguo: 1 .l’atto richiamato per relationem è conosciuto o conoscibile dal contribuente; 2. l’atto richiamato per relationem è del tutto sconosciuto né conoscibile dal contribuente in quanto emesso nei confronti di un terzo. È chiaro che le due ipotesi hanno conseguenze diverse rispetto all’obbligo motivazionale dell’Amministrazione finanziaria: nel primo caso , quando l’avviso di accertamento nella sua parte motiva rimanda ad un atto presupposto, la norma (1) deve essere interpretata non in senso meramente formale ma in senso sostanziale, pertanto, se l’atto richiamato è conosciuto dal contribuente (2), ovvero c’è coincidenza tra il destinatario dell’atto impositivo e il destinatario dell’atto richiamato in motivazione, quest’ultimo potrà anche eventualmente non essere allegato, ma se ne potranno riprodurre meramente i tratti salienti, la motivazione in tale caso può dirsi perfetta in quanto il contribuente è già messo nella condizione di conoscere l’an e il quantum debeatur della pretesa impositiva, il principio è ben scolpito in una recente Ordinanza della Cassazione (3); nel secondo caso invece, per tutto quanto sopra detto inerentemente la funzione della motivazione di un atto, la mancata allegazione rappresenterà un grave deficit motivazionale tanto da pregiudicare la validità dell’atto medesimo (4). In sostanza, in tale ipotesi, la mancata allegazione comporterà la caducazione dell’atto impositivo che nella sua motivazione rimandi ad un pvc redatto a carico di un terzo, quindi giammai conosciuto né conoscibile dal contribuente. (5) Nel caso de quo, il Collegio di Prime Cure, sposando tale interpretazione, accoglie le ragioni del contribuente, il quale effettivamente non poteva conoscere i documenti posti a fondamento della pretesa, dato che l’impianto motivazionale dell’atto impugnato si basava su un’indagine esperita nei confronti di un terzo.

Differenze tra motivazione e prova:

portata ambivalente del pvc. Stante quanto sin qui esposto, occorre, anche ai fini della comprensione della parte motiva della pronuncia in commento, distinguere la motivazione di un atto dall’onere della prova, i due concetti spesso erroneamente si intersecano e confondono, ma ognuno dei due possiede la sua specifica soggettività: la motivazione attiene alla validità formale e sostanziale dell’Avviso di accertamento e deve essere perfetta sin dalla sua originaria formulazione, la prova invece è la “spiegazione” della motivazione e attiene alla fase processuale, “tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo” (3). La motivazione deve intendersi nel rapporto tra contribuente e Amministrazione e come tale viene valutata dal Giudice nel caso in cui il contribuente dovesse eccepire la sua validità, la prova invece attiene al rapporto con il Giudice che per formare il proprio convincimento ne ha assoluto bisogno. L’atto può validamente essere fondato sugli elementi del pvc precedentemente reso noto al contribuente quindi in tal caso perfettamente motivato, ma ciò non è comunque sufficiente a dare la prova dei fatti che sono alla base della pretesa tributaria, tutti e due sono essenziali per la validità della pretesa stessa. (6) In altre parole, può essere irrilevante il fatto che il pvc è stato precedentemente notificato al contribuente, dal momento che, a seguito dell’impugnazione dell’atto impositivo, siamo sul piano strettamente processuale, in cui è anche e soprattutto il Giudice che deve essere messo nelle condizioni di conoscere il fondamento sostanziale della pretesa tributaria. Il pvc, dunque, è un documento bicefalo, può assumere, infatti, sia la valenza di motivazione che di prova: essenziale è comprendere se vada necessariamente trasfuso nell’avviso di accertamento (quale parte integrante della motivazione) o solo successivamente esibito in giudizio (quale assolvimento dell’onere della prova). Secondo recente Giurisprudenza (2), solo in caso di PVC precedentemente noto al contribuente anche se non allegato la motivazione si può dire comunque compiuta, in tal caso sussiste solo l’onere di provarlo in giudizio da parte dell’Ufficio.

Motivazione per relationem e onere della prova, dove inizia e dove finisce il potere del Giudice? “Iudex iuxta alligata et probata iudicare debet”:

La pronuncia in commento fonda il proprio impianto motivazionale sulla mancata produzione in giudizio del pvc richiamato nell’atto impugnato, il Collegio ritiene, quindi, non assolto l’onere della prova richiamando all’uopo l’art.2697 del codice civile: “allorquando l’Amministrazione finanziaria avanza una pretesa creditoria nei confronti del contribuente, la stessa rimane onerata alla esibizione della prova dei fatti costitutivi della pretesa medesima”. La Commissione Tributaria Provinciale, a ben vedere, annulla l’atto, accogliendo le ragioni del contribuente, non perché carente (o almeno non solo) dal punto di vista strettamente motivazionale ma soprattutto perché riscontra un mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio, emette, pertanto, la statuizione in coerenza con l’ampio panorama giurisprudenziale caratterizzato da una sostanziale uniformità delle sentenze rese in tali termini. A questo punto val la pena di esaminare la posizione del Giudice tributario in liti con le caratteristiche sin qui esposte: secondo consolidata giurisprudenza egli “non può travalicare i propri poteri “ordinando” di depositarlo (l’atto su cui si fonda l’accertamento), né tantomeno può sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori” (7).

La motivazione postuma e l’onere della prova:

Nel caso approdato dinanzi la Sesta Sezione della Ctp di Salerno, il corto circuito è rappresentato dalla mancata allegazione dei documenti posti alla base della pretesa impositiva, ma l’atto impugnato ha un deficit motivazionale o da questo punto di vista è perfettamente formato? Ovvero, il motivo di illegittimità è da ricercarsi nel mancato assolvimento dell’onere della prova o nella mancanza di motivazione dell’atto impugnato? L’amministrazione finanziaria avrebbe potuto, depositando in giudizio il pvc, convincere i Giudici della bontà dell’avviso di accertamento? In ossequio a costante giurisprudenza, anche laddove (e comunque neanche ciò è avvenuto), l’Amministrazione finanziaria avesse prodotto in giudizio il pvc in argomento, i Giudici avrebbero correttamente comunque dovuto annullare l’atto impositivo in quanto carente ab origine di una valida e compiuta motivazione, si esclude, infatti, la possibilità di integrar e la motivazione in corso di lite, in quanto essa è requisito stringente di validità originaria dell’atto tributario, in altre parole è baluardo che l‘atto non può non contenere al suo interno sin dall’inizio. Pertanto val la pena sottolineare che anche laddove la produzione del pvc fosse avvenuta nel corso del giudizio, l’avviso di accertamento sarebbe stato comunque viziato ab origine, sembrerebbe, diversamente, che il Collegio ritenga l’atto perfettamente motivato ponendo la mancata produzione del pvc solo sul piano del mancato assolvimento dell’onere della prova, oppure, in senso diametralmente opposto, prevedendo la possibilità di una motivazione postuma quasi a volerla ritenere valida quale effetto emendativo dell’atto.

Considerazioni conclusive:

Il piano normativo su cui è basata la pronuncia in commento, l’assolvimento dell’onere della prova, è stato oggetto della recente novella legislativa introdotta con l’art.6 della Legge 31 agosto 2022, n.130 che ha aggiunto il comma 5 bis all’art.7 del D.lgs. n.546/92 in vigore dal 16 settembre 2022, tuttavia, come abbiamo avuto modo di osservare relativamente all’interpretazione offerta dai Giudicanti di Prime Cure, la novella non ha fatto altro che integrare, introducendo una norma ad hoc nella legislazione tributaria , un principio già esistente già nella normativa civilistica (l’art.2697 cc), e che quindi poteva essere, come lo è stata nel caso de quo, efficacemente applicata da attenti Giudici Tributari anche prima della recente evoluzione normativa. In effetti il nuovo comma 5 bis si colloca nella disciplina del processo regolamentando la dinamica probatoria all’interno del giudizio senza modificare gli obblighi motivazionali previsti a monte nell’atto impositivo, il Legislatore ha inteso rafforzare l’obbligo dell’assolvimento dell’onere della prova della parte pubblica, sovvertendo l’opinione precedentemente formata dai Supremi Giudici secondo cui si attribuiva al contribuente, ad esempio, l’onere di provare i requisiti degli elementi di spesa. Il nuovo comma introdotto rappresenta pertanto una mano tesa verso il contribuente realizzando una maggiore tutela degli interessi privati troppe volte bistrattati. Si auspica pertanto che la nuova norma possa effettivamente rappresentare un volano verso l’equità del sistema tributario e che quest’ultimo possa essere inteso finalmente come paritario nel rapporto tra parte pubblica e parte privata.

Note:

1) Art.42 DPR 600/73

2) È il caso, ad esempio, della motivazione per relationem della Cartella esattoriale, affrontato dalla Corte di Cassazione in un recente Sentenza del 29 dicembre 2022 N.38116, in tale contesto la Suprema Corte non ha mancato di precisare che “la Cartella di pagamento allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati- attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per ulteriori accessori”, in questo caso il richiamo summenzionato soddisfa pienamente gli obblighi motivazionali. Sull’Amministrazione finanziaria grava un obbligo di motivazione rafforzato solo se la cartella di pagamento costituisce il primo atto notificato al contribuente e, quindi, atto impositivo. Sul punto già si erano già espressi gli Ermellini con l’importante Sentenza a Sezioni Unite n.11722 del 2010 nella quale si afferma il seguente principio di diritto: “Quando la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo e unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contener e, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione. Tale motivazione può essere assolta per relationem ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia, debbono comunque esser e specificatamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali, affinché il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità: l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, non deve esser e necessariamente allegato alla cartella – secondo una interpretazione non puramente formalistica della L.27luglio 2000, N.212, art.7-, sempre che ne siano indicati nella cartella stessa i relativi estr emi di notificazione o di pubblicazione.”

3) CASSAZIONE, Sez.trib., Pres. Manzoni, Est. Triscari – Ord. n.6325 del 19 gennaio 2023, dep. il 02 marzo 2023

4) “È necessario che l’atto contenga gli elementi essenziali, comprensivo dell’allegazione dei documenti richiamati in motivazione, per renderlo idoneo a svolgere la funzione a cui è destinato”. A tale importante conclusione giungono i Supremi Giudici con l’Ordinanza n.29491/2018 pubblicata il 16/11/2018, nella quale si ritiene illegittimo per difetto di motivazione l’avviso di liquidazione per mancato pagamento dell’imposta di registro relativa ad un provvedimento giudiziario che indichi solo la data e il numero, senza allegarlo.

5) Si esprimono nella stessa direzione i Supremi Giudici nell’Ordinanza n.34142 del 21/11/2022 “l’obbligo di motivazione può essere adempiuto anche “per relationem” …, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato…”. Non mancano pronunce anche recentissime che non fanno altro che confermare tale orientamento, si veda in tal senso la Sentenza n.474 del 11 gennaio 2023, con cui il Supremo Consesso, nell’accogliere il Ricorso proposto avverso la decisione della CTR Campania, cassa la relativa Sentenza e annulla di fatto gli avvisi di accertamento rilevando:“ la violazione dell’art.3 della Legge 7 agosto 1990, n.241; dell’art.7 della Legge 27 luglio 2000, n.212; dell’art.42, comma 3, del D.P.R.N.600/1973 e dell’art.56 del D.P.R.n.633/1972, nonché dell’art.24, comma 2, Cost., in relazione all’art.360, primo comma n.3, cod. proc. Civ., avendo la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento n…., che richiamava per relationem un precedente pvc redatto in contraddittorio con il fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, senza che tale atto risultasse allegato all’atto tributario che lo richiamava; né la circostanza che i documenti contabili fossero stati consegnati al Curator e era rilevante ai fini della dimostrazione del contenuto del p.v.c. in capo al Curatore”. Limpida la posizione dei Supremi Giudici che negano finanche la conoscibilità del documento da parte del Curatore nonostante fosse stato in precedenza consegnato al fallito, nonostante quindi l’innegabile rapporto “di vicinanza” tra i due soggetti. L’insegnamento è ribadito in una recente Ordinanza della Cassazione, la n.9594 del 07/04/2023:” L’obbligo di allegazione degli atti richiede che l’atto presupposto, ancorché non trascritto, non sia conosciuto né agevolmente conoscibile con ‘ordinaria diligenza da parte del contribuente, posto che l’obbligo di allegazione-al fine del rispetto dell’obbligo di motivazione imposto all’Amministrazione Finanziaria per gli atti ai quali l’atto impositivo faccia rinvio, senza riprodurli – riguarda solo gli atti non conosciuti, né agevolmente conoscibili dal contribuente, se non attraverso una ricerca complessa…”

6) CASSAZIONE n. 29878 del 30.12.2020

7) La Cassazione nella Sentenza n.955 del 20 gennaio 2016 ribadisce la funzione integrativa e non sostitutiva di quei poteri officiosi che l’art.7 del D.lgs. 546/92 – da interpretare alla luce del principio di terzietà sancito dall’art.11 1 della Costituzione – attribuisce al giudice (vedi anche Cass. N.673 15/01/2007).

 

 

Commissione Tributaria Provinciale Salerno,

Sezione VI, 15 luglio 2019, n. 2172

Pres. Melone – Rel. Orilia

Accertamento – Motivazione per relationem – Rinvio ad un p.v.c. non prodotto in giudizio – Legittimità – Non sussiste – Difetto di motivazione e di prova della pretesa impositiva – Infondatezza dell’accertamento – Consegue

In presenza di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine emersi dai p.v.c. redatti dalla Guardia di finanza con esiti contestati dal contribuente, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione finanziaria. La mancata produzione in giudizio del processo verbale di constatazione determina l’annullamento dell’atto impugnato per l’impossibilità di verificare la fondatezza della pretesa tributaria.

Svolgimento del processo:

La sig.ra P.G., così come difesa e rappresentata in atti, propone ricorso avverso avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Salerno -, in relazione all’anno d’imposta 2014, aveva accertato a suo carico redditi di lavoro dipendente non dichiarati per € 3.658,00. La pretesa fiscale traeva origine da un p.v.c. elevato in data 26.10.2017 dalla GdF di Vallo della Lucania nei confronti della associazione “XXX” che le avrebbe corrisposto gli emolumenti appena sopra richiamati. La ricorrente, con articolate note difensive che necessariamente qui vengono riassunte, ne eccepisce la nullità per: – inesistenza giuridica della sua notifica stante la omessa redazione della relata da parte del presunto notificatore; – mancata instaurazione del dovuto contraddittorio preventivo prima della sua emissione; – difetto di motivazione stante la sua emissione per relationem senza allegazione allo stesso del p.v.c. da cui aveva tratto origine. Nel merito evidenzia tuttavia che gli emolumenti contestati attengono a rimborsi spese effettuati da parte della associazione a fronte di regolare documentazione giustificativa esibitale: circostanza, questa, di cui era ben consapevole la stessa Agenzia delle Entrate che, in ordine alle annualità d’imposta 2011 e 2012, non aveva sollevato la medesima contestazione per gli analoghi rimborsi spese effettuati a suo favore. Evidenziando da ultimo la contraddittorietà dell’operato dell’Ufficio che non aveva contestato alla associazione verificata la mancata applicazione della ritenuta dei presunti redditi di lavoro dipendente per cui è causa, conclude per l’annullamento dell’atto impugnato con vittoria delle spese di giudizio. L’Ufficio, ritualmente costituitosi, con note controdeduttive altrettanto articolate, contrasta tutto quanto ex adverso dedotto tanto in diritto quanto nel merito, evidenziando, per tale ultimo aspetto, che, in ordine alla mancata contestazione alla associazione delle ritenute da essa non operate, provvederà ad emettere un autonomo atto di accertamento. Conclude pertanto per il rigetto del ricorso con condanna di controparte al pagamento delle spese di giudizio.

Motivi della decisione

In via preliminare ed assorbente, questa Commissione rileva che agli atti del procedimento non risulta allegato il p.v.c. su cui è fondata la pretesa tributaria per cui è causa. Al riguardo giova osservare che, così come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 3978 del 15.7.2017), in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c., allorquando l’Amministrazione finanziaria avanza una pretesa creditoria nei confronti del contribuente, la stessa rimane onerata alla esibizione della prova dei fatti costitutivi della pretesa medesima. Così come d’uopo altresì rilevare che, per prevalente orientamento della medesima Suprema Corte, in presenza di un avviso di accertamento che richiami espressamente elementi di indagine emersi dai p.v.c. redatti dalla a Guardia di finanza ed a fronte delle contestazioni mosse dal contribuente circa l’attendibilità dei relativi esiti, l’onere di dimostrare la legittimità della pretesa fiscale ricade in capo all’Amministrazione finanziaria che non può esimersi dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione (Cass. n. 955 del 2016; cfr. anche Cass. nn. 21509 del 2010, 1946 del 2012). Nella piena aderenza al predetto orientamento, questa Commissione, preso atto della mancata produzione in giudizio da parte dell’Ente accertatore del p.v.c. redatto dalla GdF, provvede all’annullamento dell’atto impugnato. Ed invero l’Ente accertatore, non versando in atti il predetto p.v.c., non ha posto questo Organo Giudicante in grado di verificare la fondatezza della pretesa tributaria portata dall’atto qui impugnato. In particolare non ha fornito alcuna prova concreta di contrasto a quanto osservato dalla ricorrente in ordine alla natura dei redditi ripresi a tassazione non dichiarati che, secondo la ricorrente medesima, piuttosto che a compensi da ella percepiti, attenevano a rimborsi spese ricevuti a fronte dalla propria attività di volontariato svolta in favore della società. E d’altronde non va sottaciuto che la stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 10/E del 13 marzo 2006, si era premurata di invitare i propri uffici a prestare la massima attenzione affinché gli atti, i fatti e i comportamenti assunti nel processo tributario fossero debitamente documentati. Alla luce di tutto quanto innanzi argomentato la Commissione, assorbiti gli altri motivi di gravame, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. La peculiarità della materia trattata induce alla compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno – sezione sesta – definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta dalla sig.ra P.G. accoglie il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Dott.ssa Giulia D’Andrea